“Artista autodidatta ed anticonvenzionale”, come si legge nella sua biografia
Autrice e compositrice musicale dall’indubbia poliedricità nel dare spazio ad una passione nata fin da bambina (vedi la predilezione per la batteria, assecondata dalla nonna paterna, che gliene costruì una con fustini di detersivo e vecchie pentole), Yulla ha da poco dato alle stampe (Youcanprint), disponibile anche in formato ebook, il suo esordio letterario, Olvidar-Dimenticare, destinato inoltre a divenire presto un album, frutto quest’ultimo di un progetto musicale cui l’artista sta lavorando da oltre due anni. Sincerità, emotività dalla consistenza empatica ed un fluido trasporto vitale sono le prime sensazioni che ho avvertito iniziandone la lettura, entrambe confermate proseguendo ed arrivando alla conclusione, rendendomi vivida la visione di una donna che ha affrontato la vita sempre a viso aperto, accogliendo, pur nelle sofferenze patite (la morte della madre quando era bambina, la separazione dai fratelli, la difficile vita in orfanotrofio, l’adozione e la difficile integrazione con la nuova famiglia), quanto la quotidianità nel suo consueto incessante fluire andava a porle innanzi, se non come dei doni quantomeno come delle prove da fronteggiare e possibilmente superare per acquisire inedite modalità esistenziali. Tre scatoloni chiusi fitti con innumerevoli giri di nastro adesivo, al cui interno Yulla ha rinchiuso tempo addietro, un giorno ormai vagante nell’oblio, tutti i suoi diari scritti negli anni, ora invece prossimi all’apertura, perché questa donna che ha saputo far evolvere la sua sensibilità nella propria energia vitale, è ormai “pronta a tutto, pronta per ogni evenienza, per ogni conseguenza”, riprendendo le parole scritte nell’introduzione, la stabilità raggiunta le consente infatti di poter contare sulla “forza necessaria per aprire le porte di una vita indefinibile”, perché, nella conclamata solitudine, “tutto è tremendamente inquietante, ma meraviglioso”.
Pagine estremamente toccanti sono quelle in cui Yulla ci offre testimonianza di una scoperta inizialmente sconcertante, la possibilità di comunicare con l’aldilà, la visione di avvenimenti luttuosi prima del loro verificarsi, qualcosa di terrificante per una bambina ma col tempo apprenderà come convivervi, senza farvi opposizione ed accettando definitivamente il tutto una volta divenuta adulta, affinando le sue doti di sensitiva e medium attraverso una serie di studi e ricerche e, soprattutto, scegliendo la condivisione di queste sue capacità con quanti manifestassero il bisogno di un sentore comunicativo con l’invisibile per ovviare a determinate angosce o rispondere a precisi interrogativi. Il tutto mai a fine di lucro, bensì avallando anche l’esigenza di colmare una propria necessità interiore. Ritengo poi capitoli particolarmente interessanti, di pregnante attualità, quelli in cui Yulla, ormai donna, madre, professionista affermata, racconta l’ incontro con un ragazzo, da lei ad un certo punto della narrazione semplicemente ed esaustivamente denominato la merda, col quale instaurerà una relazione che dapprima sembrerà rompere felicemente gli schemi convenzionali del “buon nido borghese”, infischiandosene delle convenzioni sociali legate alle differenze d’età o di classe, regalando all’artista sensazioni inedite, tanto dal punto di vista emotivo quanto da quello puramente fisico, ma poi rivelerà il suo aspetto reale di una fascinazione malata, ovvero resa da chi vive un amore del tutto ingenuo, puro, dipendente dalla volontà di chi le sta a fianco, senza riuscire a comprendere il perché di determinati accadimenti, fidandosi delle spiegazioni, plausibili in apparenza, del consorte, nell’incertezza di poter accusare degli stati di debolezza mentale.
E’ quel fenomeno noto nella terminologia clinica come gaslighting (termine derivante da un’opera teatrale del 1938, Gaslight, di Patrick Hamilton, adattata per il cinema nel 1940 e nel 1944, per la regia rispettivamente di Thorold Dickinson e George Cukor), indicando appunto un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far sì che un’altra, generalmente a lei vicina, dubiti di se stessa, della sua percezione della realtà, annullandole tanto la capacità di giudizio quanto l’autonomia valutativa. Ma dopo tutta una serie di dolorose esperienze, ecco la rinascita, dapprima ammansita dalle nebbie di un ritrovato accordo e poi resa impellente da un brusco e definitivo ritorno alla realtà, nella consapevolezza che “noi stessi siamo la nostra forza”, citando quanto scrive Yulla nella pagina conclusiva di un libro che si apprezza per la sua scorrevolezza complessiva ma soprattutto, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, per la sincerità di cui le sue pagine sono soffuse, anche per il tramite di un linguaggio diretto, crudo a volte, rimarcando la volontà di mettersi definitivamente a nudo nel rivelare la propria vera essenza e condividerla con quanti abbiano vissuto analoghe esperienze o semplicemente vi possano palesare un empatico trasporto emotivo, ritrovando infine la sensazione di un inedito rinascere nell’attingere dal proprio passato per vivere meglio il presente: “Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo” (José Saramago).
Intervista realizzata da La Zattera del Pensiero